Monologo del non so
Io non so se l’amore sia una guerra o una
tregua, non so se l’abbandono d’amore
sia una legge che la vita cuce fino al
ricamo finale.
Io non so spiegarmi l’imperturbabilità
di Dio, e non mi spiego di non udire il
suo grave lamento, il suo urlo di collera o
d’amore, e non so vederlo che sono in cecità
ma vorrei sentirlo almeno piangere come piango io
guardando le facce indolorate, guardando le
facce con grave malattia terrestre,
io non so invocarlo né bestemmiarlo che
è troppo nella sottrazione e troppo
astratto per i miei chili umani.
Io non so o forse non voglio
consegnarmi negli uffici del mondo,
e stare buono nelle sale d’aspetto della
vita. Io non so niente altro
che la vita e molte nuvole intorno che
me la confondono me la confondono e non
so cosa aspetto, cosa sto aspettando in questo
sporgermi al tempo che viene, io non so
e vorrei, vorrei, non so stare
fuori misura, fuori misura umana,
fuori da questa taglia finita.
Io non so perché guardando l’acqua del mare
mi salta al petto una gioia di figlio con la
madre, non so se questa uscita mia in un secolo
a caso, se questo essere qui a casaccio,
io non so spiegarmi questa malattia
all’attacco del mondo, non so guarire
questa malattia che indolora e vorrei
sistemare ogni cosa, in un sogno puerile di
tregua, in un’arcadia anche retorica,
in un dormire abbracciato dei
guerrieri che si innamorano.
Io non ho capito e dovrei,
non ho capito il mondo della
vita, io non ho capito la legge sottostante
e non ho da fare la consegna a
questi eredi cuccioli che aspettano, che esigono
da me l’aver capito.
Io non so la canzone
che spensiera e non so soccorrervi
non so pur volendolo
con quella forza di cagna
che dà il latte, non so soccorrervi nel vostro
sbando, io non so farvi un canto della
guarigione, non so farvi da balsamo
io non so mettervi nel coraggio essenziale,
nello slancio, nel palpito.
Il mio Graal l’ho ritrovato e perso cento
volte.
Io non so se la bellezza è questa accademia di
centimetri, se la bellezza, la bellezza è questa
carnevalesca decadenza di saltimbanchi,
io non mi spiego la crocifissione
della grazia, e non mi spiego perché
mi trovo qui, in questo covo rivoltato
in questa fossa con gli orchi attuali
in questo lato barbarico della specie,
e non so perché stando ad occidente non si
ode quell’alleluia delle cose.
Io non so se in questa schiena
senza ali ci sono grandi pianure da cui fare
il decollo, se in questa spina dorsale
ci sono istruzioni
per la manovra di decollo, se sono io la freccia
di questo arco della schiena, se sono io
arco e freccia, non so in quale mano
non mano o zampa di Dio mi stanno
torchiando, e sottoponendo al duro
allenamento dei dolori terrestri.
Io non so se la solitudine, se quello
strazio chiamato solitudine, se quell’andare
via dei corpi cari, se quel restare soli
dei vivi, io non so se quel lamento della
solitudine, se quel portarci via le facce
se quel loro sparire
di facce che avevamo dentro il respiro, non so
se il dono sia questo portarci via le
carezze, questa slacciatura.
È poco il poco che so e di questo
poco io chiedo perdono. Io chiedo
perdono per quello che so, perdono io chiedo
per tutto quello che so.
-
Adesso fa notte - fa preghiera.
Apre le serrature del silenzio
fa apparire la mappa siderale
e ci inginocchia per quello spazio immenso
fra qui e l'orlo
del cominciamento
quando le spine dorsali
stanno tutte stese.
-
E tu prendimi, portami con te
come un incendio nelle tue abitudini.
-
Sento il tuo disordine
e lo comparo al mio. C'è
somiglianza. C'è lo stesso slabbro
di ferite identiche. C'è tutta la voglia
di un passo largo in una terra
sgombra che non troviamo.
sento il tuo respiro schiacciato
lo sento somigliante
ti sento piano morire
come me che non controllo
l'accensione del sangue.
Anch'io cerco una libertà, una falcata
perfetta, uno stacco d'uccello
dal suo ramo, quando si butta
improvviso e poi plana.
-
Chiedo la forza del tirarsi indietro
la forza d'ogni rinunciante, la forza
d'ogni digiunante e vegliante
la forza somma del non fare
del non dire del non avere del non sapere.
La forza del non, è quella che chiedo.
Non non non: che parola splendida
questo non.
-
Guardo questo cuore incartocciato.
Abbi pietà di tutto il mio secco.
Vieni pioggia. Hai in pugno
tutte le vite, tu.
-
Gli altri sono troppi, per me.
Ho un cuore eremita. Sono
impastata di silenzio e di vento.
Sono antica.
Mi pento ogni volta che vado
lontano dal mio stare lento
nella velocità della sera, nelle auto schizzate
di pianto. Col loro buio abitacolo.
E se sfreccio a volte
sulla modesta moto, è per cantare
a gola stesa l'ultimo del paradiso
fare il mio guizzo pericoloso
col tutto quel vento nel petto
seminare parole beate
nel panorama nervoso.
-
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